Ritratti dipinti da Giovanni Fattori   (Pagine 0 )      Fonte : Dedalo - Rassegna d'arte diretta da Ugo Ojetti - Milano - Roma - 1925-26

{\rtf1\ansi\ansicpg1252\deff0\deflang1040{\fonttbl{\f0\fnil\fcharset0 Book Antiqua;}} \viewkind4\uc1\pard\f0\fs24 Ritratti dipinti da Giovanni Fattori \par \~ Giovanni Fattori nacque a Livorno un secolo fa. il 6 settembre del 1825. Mor\'ec a Firenze il 30 agosto del 1908. Si pu\'f2 ripetere di lui quel che il Carducci ha scritto nell'epigrafe deIlo scultore Adriano Cecioni amatissimo dal Fattori : " ...tardi conosciuto dai pi\'f9. - sempre amato dai buoni - non dalla fortuna ". Nella fama che da morto lo avvolge e gi\'e0 Io solleva alla gloria, sembra che della vita di lui non si sappia altro che la sua onorata povert\'e0. Su essa insistono i molti pittori che scrivono del Fattori, quasi ad ammonire il pubblico di non ripetere oggi contro loro l'iniqua e tardi esecrata dimenticanza. Ma di quanto nella biografia di questo artista pu\'f2 aiutarci a spiegare l'arte sua e le successive maniere, pochi si occupano. \par \par Sono stati, fra gli altri, dimenticati due fatti capitali. Il primo \'e8 che Giovanni Fattori non ha mai creduto d'essere un puro paesista, un pittore cio\'e8 di vuoti paesaggi, ma s\'ec un pittore di figura il quale adoperava i mille studi e studietti di paese, adesso fortuna dei mercanti e invidia dei raccoglitori, soltanto per comporre gli sfondi convenienti ai suoi quadri di butteri, di bifolchi, di boscaiole, di buoi, di puledri, di soldati, d'accampamenti, di manovre, di battaglie. Il secondo fatto \'e8 che Giovanni Fattori fino ai trentacinque o trentasei anni ha dipinto poco e fiacco e i pi\'f9 dei quadri, quadretti, bozzetti e appunti che oggi si espongono, si lodano, si comprano, sono tutti dipinti versi i quarant'anni e dopo, dal 1861 o '65. Il caso \'e8 pi\'f9 unico che raro nella storia dell'arte, ma ci aiuta a capire quel che di meditato, riposato e maturo \'e8 nelle sue opere migliori, anche nelle pi\'f9 antiche, ingenuamente credute giovanili e primaverili. \par \~ " Quand vous peignez un paysage, pensez a l'homme " diceva Millet, la cui natura taciturna e paesana pu\'f2, per qualche lato, ricordare quella di Giovanni Fattori. La verit\'e0 \'e8 che da Pier della Francesca all'Angelico, da Giorgione a Tiziano, da Breughel a Rembrandt, da Gainsborough a Whistler, da Poussin a Corot, i massimi creatori e rinnovatori della pittura di paese sono stati prima maestri nella pittura di figura. Anche quelli che oggi ci appaiono puri paesisti. Hobbema o Fontanesi, uscirono da tempi e da scuole dove lo studio del corpo umano e delle sue proporzioni e del carattere d'un volto o d'un gesto era il primo precetto. Per questo nei loro pi\'f9 vasti paesaggi dove alberi e nuvole sembrano soli a colloquio, nel " Il viale di Middleharnis " o nelle " Nubi ", appena t'avvicini vedi una o pi\'f9 figure umane profilarsi nella luce, piccole ma presenti quanto occorre a riaffermare che l'uomo \'e8 il metro del mondo e a stabilire la viva simpatia fra te e la vuota veduta. \par Anche quando la figura manca, come in molte tavolette dipinte dal Fattori sul vero, se il paese \'e8 d'un pittor di figura, tu senti ch'egli ha pensato, dipingendolo, all'uomo, alla sua misura e alla sua forma, non solo per bilicare i pieni e i vuoti, le luci e l'ombre, le lontananze vaporose e le salde vicinanze, e per fissare il centro sul quale subito si deve posare il tuo sguardo, ma anche per scegliere disegnare e costruire i tratti salienti del paese, per definirne cio\'e8 il sentimento e l'espressione a quell'ora in quella luce, come fosse non lo spettacolo d'un incontro fortuito d'alberi, acque, nubi, terre e case, ma quasi il ragionevole volto d'un uomo. \par \par Insomma il puro paesista come se n'\'e8 visti tanti in questi ultimi cinquant'anni, comodamente inesperto di disegnare un profilo o un ginocchio o una mano, \'e8 lo schiavo di quel che gli si presenta ogni anno pi\'f9 prono e pi\'f9 facile nella sua sottomissione e negli artifici per accettarla senza troppa fatica. Invece il pittor di figure, quando dipinge un paese, sta l\'ec a dominarlo e frugarlo e interpretarlo e quasi cercarne sotto la corteccia dei prati e della terra la struttura e lo scheletro. Egli avr\'e0 dipinto, con quel paese, il volto della sua anima a quell'ora in quel luogo. \par Cos\'ec si comprende e si perdona il giusto disdegno dei vecchi accademici per la pittura di paesaggio. E cos\'ec si pu\'f2 affermare che chi vuol capire e godersi i paesaggi di Giovanni Fattori deve cominciare dal capire e godersi questi ritratti dipinti da lui e adesso qui, per la prima volta, allineati. \par \par Giovanni Fattori \'e8 un macchiaiolo. anzi il fondatore e battezzatore dei \'ab Macchiaioli \'bb toscani, visto che questo nomignolo dai molti sensi sarebbe venuto a un gruppo di pittori viventi a Firenze, Signorini, Lega, Cabianca, Banti, Abbati, Borrani, d'Ancona, Sernesi, de Tivoli, e pochi altri minori, proprio da un quadro del Fattori con tre " Macchiaiole " dipinto presso Antignano di Livorno ed esposto a Firenze nel 1867. Piuttosto il nomignolo deriv\'f2 dalla convinzione di quei pittori che il vero risulta nel dipinto soltanto da macchie di colotre e di chiaroscuro ciascuna delle quali ha un valore proprio, e che questo valore si misura col mezzo del rapporto tra i vari toni : e chi pi\'f9 ne vuol sapere, pu\'f2 leggere queste definizioni e discussioni nel battagliero \'ab Gazzettino delle arti del disegno \'bb pubblicato a Firenze nel 1867, e negli \'ab Scritti e Ricordi \'bb di Adriano Cecioni raccolti da Gustavo Uzielli (1) . \par Pian piano quei consigli per salvarsi dalla melensa e liscia e disossata pittura dei neoclassici e dei cosiddetti romantici italiani rimasti pi\'f9 accademici dei neoclassici, diventarono alla lor volta precetti d'Accademia anche essi; e ai fedeli Macchiaioli fu proibito di oltrepassare \'ab la dimensione dei quindici centimetri, quella dimensione che assume il vero quando si guarda a una certa distanza, a quella distanza cio\'e8 in cui le parti della scena si vedono per masse e non per dettaglio \'bb: parole, appunto, del Cecion\'ec. Dei quali esempi di pura macchia si pu\'f2 qui vedere il placido quadretto dipinto tra il '60 e il '7'0 con le due signore contro luce nel bosco di Castiglioncello (pag. 245) dove le facce di profilo sono rese con uno o due piani soltanto, netti e campiti, e lo stesso fogliame degli alberi \'e8 posto su tre o quattro piani stagliati l'uno sull'altro, lentamente. dall'ombra alla luce. \par Ma la teoria della macchia non era una novit\'e0, o almeno, come quasi tutte le novit\'e0, era nuova perch\'e8 era stata dimenticata. Aveva scritto Leonardo da Vinci: " Tu, pittore, farai le piccole figure solamente accennate e non finite e, se altrimenti farai, contrafarai alli effetti della natura tua maestra... Devesi per lo pittore porre nelle figure e cose remote dall'occhio solamente le macchie, non terminate, ma di confusi termini \'bb. (3) \par Ed Emilio Zola nel 1866, convinto d'affermare anch'egli, come i nostri Macchiaioli, una moderna scoperta, scriveva a proposito di Edouard Manet: \'ab Una testa di contro a un muro non \'e8 pi\'f9 che una macchia pi\'f9 o meno bianca sopra un fondo pi\'f9 o meno grigio, e il vestito della figura divenia, per esempio, una macchia pi\'f9 o meno turchina messa accosto alla macchia pi\'f9 o meno bianca. Da ci\'f2 una grande semplicit\'e0, quasi nessun particolare, un insieme di macchie giuste e delicate le quali a qualche passo di distanza danno al quadro un rilievo che colpisce. \'bb (4) \par \par Precetti e teorie contano molto poco. Da quelle massime uscirono negli stessi anni gli Impressionisti francesi che conquistarono il mondo, e questi Macchiaioli toscani che solo da dieci o quindici anni gl'italiani cominciano a considerare e ad amare e a commentare. E sono due scuole tanto opposte che, quando arrivarono a Firenze intorno al 1880 due paesaggi di Camille Pissarro mandati dall' impariginito Martelli, Giovanni Fattori dichiar\'f2 tondo che gli sembravano vuoti, confusi e scoloriti (5). Dieci anni dopo, in una lettera del 1891, rincarava la dose " L'impressionismo ha fatto irruzione anche qui nelle nostre sale. \'c8 divenuto con danno dell'arte una crittogama. Tutta, o una parte, della giovent\'f9 ci si butta a corpo perso. Trovano la luce artificiale senza fatica... Fattura nulla, disegno niente, soggetto e sentimento negativo. A questi giovani ho detto: \emdash Fonderete un'altra Accademia, ecco il progresso che avrete inventato. " L'impressionismo camaleontico, chiaro, lieve e vibrante cos\'ec che presto si mut\'f2 in puntinismo e divisionismo, nemico delle forme disegnate e dell'ombre, non era per lui, per la sua indole, per la sua innata tradizione di toscano che crede alla consistenza, al volume, al peso, alla forma del mondo reale, e si propone di renderlo per disegno e chiaroscuro. Quei francesi correvano dietro all'attimo della mutevole luce; questi toscani cercavano delle cose la durata. Quelli, tutt'occhi, dipingevano solo sul vero, rapidi e fluidi, le loro a " impressioni "; questi, occhi e ragione, sul vero non facevano che " studi ". \par Non stiamo qui a distinguere un artista dall'altro. Parliamo per brevit\'e0 dei due gruppi come se abbiano davvero obbedito compatti a una sola norma o maniera. Ma dobbiamo almeno avvertire che ormai De gas e Manet non appaiono pi\'f9 legati ai veri Impressionisti come Monet, Sisley e Pissarro, che da fatti di cronaca e da amichevoli simpatie e da comuni antipatie; e di qua, tra i Macchiaioli. il randagio e ansioso Signorini, curioso di tutto. magari della maniera di Fortuny o di Morelli, non pu\'f2 essere sempre accompagnato al meditativo e calmo e solitario Fattori, come solo a tratti pu\'f2 essergli accompagnato Silvestro Lega, delicato, nervoso e disuguale, pi\'f9 parente, se mai, di Manet che di Signorini-Degas o di Fattori-Costa-Corot. \par \par A prendere insomma, perch\'e8 \'e8 logico, Giovanni Fattori pel rappresentante pi\'f9 tipico e pi\'f9 lungamente stretto alla maniera detta dei Macchiaioli, si trova ch'egli, contro gl'Impressionisti di Francia e poi d'Italia, rest\'f2 sempre fedele al disegno bene inciso, come si pu\'f2 vedere in tutti i suoi dipinti e anche pi\'f9 chiaramente nei suoi albumetti d'appunti a matita, nelle sue maschie acqueforti e nei suoi abbozzi; e al chiaroscuro non sfumato, ma definito per taglienti zone di luce e d'ombre e di mezze ombre colorite, quale era stato il chiaroscuro dei fiorentini del tre e del quattrocento (6); e alla convinzione che il quadro si compone e si dipinge a studio e non sul vero, e sul vero si dipingono solo studi e impressioni da servire poi a comporre quadri. \par \par Questa massima era stata rispettata per secoli da tutti gli artisti, come quella che pone a base dell'opera d'arte l'intelligenza, il gusto e la scelta, non solo la passiva copia della realt\'e0 o la breve ispirazione del bozzetto. Fu abbandonata nella seconda met\'e0 dell'ottocento da innumerevoli artisti per obbedire ai comandamenti del verismo, e per seguire l'ingenuo pregiudizio che a non dire anche in arte tutta la verit\'e0 e solo la verit\'e0 non s'era dei galantuomini, e per risparmiarsi, dopo tutto, la fatica dell'invenzione e della composizione, e per gareggiare infine con la fotografia. \'c8 stata necessaria la reazione, anzi la restaurazione, da C\'e9zanne ai cubisti, per sciogliere l'arte da questa schiavit\'f9 e dal pregiudizio del " dipinto sul vero ". \par \~\~ \par \par \~ Giovanni Fattori ne fu immune. Per questo fin dal 1908, quand'egli era ancora vivo, noi pronunciammo il suo nome accanto a quello di Paul C\'e9zanne. Nella composizione il Fattori non mostra purtroppo n\'e8 esperienza n\'e8 buon gusto. Il disprezzo pei vecchi insegnamenti dell'Accademia e lo scarso studio degli antichi gli avevano tolto l'aiuto di quelli schemi e suggerimenti che con l'apparenza almeno d'una logica architettura hanno salvato tanti mediocri. II suo quadro manca per lo pi\'f9 d'equilibrio, e non resta nella memoria con la linea unica e sicura cui sanno appoggiarsi anche i pi\'f9 stanchi manieristi. dall'estremo cinquecento al neoclassicismo ottocentesco. \par \par Mercati, manovre, battaglie, scene di butteri e cavalli in Maremma, sembrano e sono un confuso groviglio di figure spesso stupende di verit\'e0 e di vigore, senza un principio e una fine, un centro e un circolo, un'arsi e una tesi. La sua memoria e i suoi mille appunti erano l\'e0 a suggerirgli d'aggiungere, senza regola, qua un bue che calciava, l\'e0 un cavallo che cadeva, a destra un artigliere con le \'ab buffetterie \'bb descritte fermamente una ad una, a sinistra due fanti sdraiati a dormire. Di tanti ricordi era ricco che ingenuamente ne spendeva quanti poteva. Si guardi, per non citare altri dieci quadri, questa \'ab Marca dei puledri in Maremma \'bb (pag. 259. 260, 261). Cos\'ec i suoi dipinti pi\'f9 memorabili restano i pi\'f9 semplici, con poche figure nel centro e, intorno e dietro ad esse, l'ampio respiro della campagna, della foresta, del mare: le Boscaiole (7), il Riposo (8), la Siesta (9), il Casale in Maremma (10), Puledri in Maremma (11), i Battitori sull'aia (12): e questi ritratti. \par \~ Il pi\'f9 recente di questi ritratti \'e8 quello della signora Fanny Fattori, terza moglie del pittore, dipinto nel 1905 (pag. 267). I pi\'f9 antichi debbono risalire a poco dopo il 1860. Di questo gruppo che va dal 1860 al 1870 due soli sono datati: 1865, quello della signora Carlotta Fattori, cognata del pittore (13), (pag. 210); 1866, quello della signorina Siccoli (pag. 243). \par \par Tra il 1859 e il 1861 s'ha da porre la rinascita di Giovanni Fattori. Dopo la pace di Villafranca, Giovanni Costa che per la guerra s'era arruolato nei Cavalleggeri d'Aosta, venne in Toscana, dividendo la sua vita tra la pace della marina pisana e le speranze che a Firenze le novit\'e0 mettevano anche nel cuore degli artisti e che, proclamato il Regno, condussero alla prima grande esposizione italiana del 1861. Quel romano, fiero franco e signorile, che aveva combattuto per la difesa di Vicenza contro gl austriaci e per la difesa di Roma contro i francesi, che aveva conosciuto al lavoro Corot, Boecklin, Mason e Letghton (14), che sapeva tutto delle correnti e delle mode della pittura in Europa, apparve in Firenze ai pittori della Toscanina\~ come un profeta e un apostolo. Di novit\'e0 i giovani pittori toscani ne avevano udite molte e vedute alcune, ad esempio nella raccolta dei recenti paesisti francesi a Villa Deminoff (15). Serafino de Tivoli, Saverio Altamura,\~ Domenico Morelli erano stati a Parigi all'esposizione del 1855, e avevano portate a Firenze notizie entusiastiche sul modo di dipingere dei nuovi romantici francesi, specialmente dei paesisti di quel gruppo che poi fu chiamato \'ab la scuola di Barbizon \'bb sebbene Corot, Troyon e Dupr\'e9 non abbiano che per poco lavorato nella foresta di Fontainebleau dove lavoravano Rousseau, Diaz e Millet; e Daubigny mai. Leggo in un appunto di Telemaco Signorini: \'ab Dopo che l'Altamura e il Tivoli tornarono da Parigi verso il 1855, impressionati dall'arte di Troyon e di Decamps. dipinsero un feroce chiaroscuro che pi\'f9 tardi dette la macchia. Sei anni dopo, nel 1861, Banti, Cabianca ed io, abbiamo dipinto la macchia. \'bb Del Fattori non parla. \par \'c8 che il Fattori fino allora era rimasto, taciturno, bizzarro e poverissimo, quasi fuori da quel fascio di ferventi polemisti. Ma il de Tivoli gli condusse nello studio in piazza Barbano Nino Costa. Questi ne guard\'f2 le macchiette, gli appunti, l'abbozzo di un gran quadrone sulla storia dei Medici. Poi lo interrog\'f2, ne sent\'ec l'anima generosa e candida e tramut\'f2 col suo fervore aggressivo il fatto artistico in fatto morale. Gli do mand\'f2: - Ma tu sei un uomo o non sei un uomo? E non t'accorgi che tutti questi t'imbrogliano? - (16). Tutti questi erano per lui, i r\'e9tori romantici e un poco anche gli ansiosi riformatori del Caff\'e8 Michelangelo che volevano contro la vecchia chiesa dell'Accademia fondare una chiesuola con le finestre pi\'f9 larghe ma la porta pi\'f9 stretta. Mi narrava, un mezzo secolo dopo, il Fattori: - Da quelle parole ricevetti un'impressione che non ho pi\'f9 dimenticata. E fu per lui che cominciai la Battaglia di Magenta, e fu per lui che vinsi il concorso, e non volli far pi\'f9 che un'arte libera e mia, e non ebbi pi\'f9 fede che nei soggetti contemporanei. - Nino Costa nel 1897, a settanta anni passati, rispondeva a un saluto del suo buon Fattori ricordando i leali consigli datigli in quel tempo: " Tu sei stato sempre per te. Alla presenza della tua nobile schiettezza, il mio animo s'\'e8 rialzato e la mia voce ha pronunziato parole di verit\'e0 delle quali tu hai formato precetti. " \par \par Non oserei affermare che la conversione del Fattori a quell'intemerata del Costa fosse fulminea. S'incontrano nelle private raccolte fiorentine bozzetti e scenette militari del Fattori, tra il 1859 e il 1861, con soldati italiani o francesi (i francesi del \par Lamorici\'e8re gli si vennero ad accampare proprio alle Cascine) trattati a macchie nette e squadrate e smaglianti che hanno addirittura l'aspetto dell'intarsio. Vi manca ogni gentilezza di chiaroscuro, ma v'\'e8 gi\'e0 la trama della migliore pittura fattoriana e la volont\'e0 di sillabare e quasi martellare le parole cos\'ec che niente se ne perda. La stessa freschezza di colore e fermezza \par di contorni \'e8 nel ritrattino del 1861, della Cugina Argia (pag. 237), semplice, casto e primaverile. Ma nel compiuto Ritratto della sua prima moglie, (pag. 239)\~ seduta, ben composta e soddisfatta nel vestito di seta frusciante, proprio da gran signora, dentro quella gonna tanto ricca da coprire con le sue onde i braccioli della solenne poltrona a fiorami verdoliva, il volto roseo raggiunge tra i capelli neri e il vestito nero una grazia fresca e popolana che \'e8 incantevole. La modellatura delle mani, delle pieghe e della faccia con le labbra tumide, gli zigomi sporgenti, il nasino infantile e il gioco dei lustri bigi e delle ombre nere nella seta spiegazzata, sono d'un pittore gi\'e0 provetto che sa quel che si fa, dal primo disegno all'ultimo tocco, e non lascia niente all'improvvisazione, niente al caso, niente fuori margine, padrone dell'occhio e della mano sua. \par Anche a non osservare l'arte, solo a guardare il costume, si possono dare agli stessi anni, forse allo stesso anno 1865, il ritratto della cognata (pag. 240) e, poco dopo, il ritratto della signora B. (pag. 241). Nel ritratto della cognata la definizione dei piani raggiunge una sobriet\'e0 da affresco. Dal fondo della razza questo millenario mezzo d'espressione dei pittori di terra toscana adatto alla loro volont\'e0 d'isolare la realt\'e0 per dominarla, di semplificarla per capirla, di capirla prima di commuoversene, di rivelare l'armatura del corpo sotto carne e vesti, di trovare insomma la scultura nella pittura e l'architettura nella scultura, par rivivere in quest'uomo di quarant'anni, rozzo all'apparenza e modesto come un artigiano, ma radicato fin nel profondo della sua razza e storia. Guardate anche qui il campo dell'ombre definito senza paura anche nel volto e nelle mani, e il fondo nudo, e la tela occupata tutta dalla figura, senza divertimenti e fronzoli. Quand'ha davanti a s\'e8 un volto di vecchia come quello della signora B., non le risparmia una ruga; anzi una ad una le definisce, dalla fronte alla bocca, dalle palpebre alla palma della mano. Ma che un poco di bianco, d'un goletto o d'una manica di lino appaia fuor dal nero, e una delicatezza di trasparenze e riflessi sorge come un canto su dalla piana e virile prosa di questa pittura. Cos\'ec s'arriva al ritratto Siccoli (pag. 243) che regge, nella finezza dei veli e delle batiste sulle rosee braccia e sul petto della giovinetta, anche il confronto con Goya e Manet, n\'e9 si accontenta mai di suggerire, ma sempre disegna e dichiara. \par \par La luce \'e8 quieta, la composizione modesta, l'espressione tranquilla: sono queste le donne della piccola borghesia toscana d'allora, solida e parca, pacifica e senz'ali. Le corrisponde la prosa asciutta e serena dei " toscani dell'ottocento " quale l'ha di recente studiata e scelta Pietro Pancrazi: Marlini e Fucini, Biagi e Barboni. Si confrontino a queste pitture quelle di Tranquillo Cremona, presso a poco in quelli anni. dalla Sposa e dai Cugini al ritratto della signora Deschamps dipinto nel 1875: nell'arte, vi riappaiono, di ricordo, la pennellata e le gamme della pittura veneziana; nell'espressione, il romanticismo lombardo or languido, or fiero, ma sempre un poco in posa per rivelarti d'un colpo non ci\'f2 che un personaggio \'e8, ma ci\'f2 che un personaggio vuole essere. Eternit\'e0, nei grandi, delle nostre molte anime, regione per regione, inconfondibili. \par Tra il 1870 e il 1880 vanno, crediamo, posti alcuni rapidi simboli dal vero, come il Martelli ad Antignano (pag. 246) e il Vecchio modello (pag. 217 e pag. 248) di colore brioso e di pennellata pi\'f9 rotta e sottile che corrispondono all'invasione fino in Toscana della vibrante pittura di Mariano Fortuny. Ma il Fattori seppe contenere la moda nei confini della ragione, nei contorni infrangibili del suo disegno. Ci si divert\'ec e se ne valse per ravvivare la sua arte pacata e meditata. Erano gli anni nei quali Giovanni Boldini lavorava a Firenze, e Silvestro Lega gli dava il gusto delle armonie in rosa e grigio, azzurro e nero, che egli non ha pi\'f9 perduto. In questa fattura pi\'f9 briosa s'ha da vedere anche un effetto del suo breve viaggio a Parigi nel 1875, con Francesco Gioli, col Ferrosi e col Cannicci? \par \par Egli al ritratto tornava ogni poco pel suo studio. Di clienti e di modelli eleganti non ne aveva, diremo, per fortuna. E si accontentava delle donne di casa sua. Cos\'ec ci ha dato i due capolavori, dipinti nel 1889. Per questo ritratto (pag. 249) egli addobb\'f2 la signora Marianna Martinelli sua seconda moglie, con le vesti pi\'f9 pompose, con le catene, anelli, braccialetti, fermagli pi\'f9 lucenti e, le spalle strette in una giacca di lana grigia cucita in casa, i capelli neri pettinati a pera secondo la moda, la bocca socchiusa in un benigno sorriso, l'occhialetto aperto con signorile noncuranza sul grembo. le mani appoggiate sul fazzoletto bianco e sul ventaglio rosso, se la piant\'f2 davanti e se la dipinse. Ne \'e8 uscito uno dei pi\'f9 vivi e memorabili ritratti del nostro ottocento, con un involontario senso di caricatura che sa di Goya, tanto spietato e, nello stesso tempo, attento e innamorato \'e8 il buon pittore. Ma quando, subito dopo, pens\'f2 di ritrarre, seduta sulla stessa sedia, fermata nella stessa posa, la giovane e florida signorina Giulia, sua figliastra (pag. 251), vestita di un bianco \'ab crema \'bb, col vellutino al collo, gli occhioni neri tondi e spalancati. nelle grasse mani lo stesso ventaglio, questa volta, aperto a met\'e0, il contrasto tra la finezza dell'arte e la volgarit\'e0 del modello scomparve, e Giovanni Fattori dipinse il suo pi\'f9 bel ritratto (17). Si confrontino la modellatura del volto nel ritratto della cognata (pag. 240) o della prima moglie (pg. 239) con la modellatura fusa e gentile di questo volto; la pennellata pastosa e pur leggera su queste vesti, con la pennellata squadrata e campita sulle vesti di quelle, e si vedr\'e0 in che consiste questa che diremmo terza maniera del Fattori. \par \~ La donna dai capelli rossi (18) (pag. 256), la Signora di Livorno in nero pag. (252), la tragica Livornese con lo scialle (pag. 255) dipinta di profilo contro un fondo di fosco mare, sono da porre, ci sembra, negli anni intorno al '90. Ma quando il Fattori volle dipingere s\'e9 stesso ormai settantenne, nel 1894 (tav. fuori testo), ritrov\'f2 la rudezza della sua antica mariera. La grana della pittura \'e8 pi\'f9 ruvida, nei capelli e nei baffi il pennello \'e8 pi\'f9 lieve; ma il volto ossuto, il grave panno della giacca, il feltro del cappello son resi con la larghezza potente e risoluta duna volta; e dietro al volto, l'inquadratura d'un paesaggio e il cavalletto e le tele appese sul muro, con le loro toppe geometriche accentuano ancora una volta la somiglianza di questa arte con quella dell'affresco toscano fra il tre e il quattrocento. \par \~ \par Sta bene accanto a questo ritratto la Merca dei puledri in Maremma (pag. 259, 260, 261) che fu esposta a Venezia nel 1897 e che ha la stessa intrepida franchezza nel modellare e contornare cavalli e uomini. Delle pi\'f9 vigorose teste dipinte, crediamo, in quelli anni, il Lupo di mare (pag. 264), il Vecchio frate (pag. 265), il Ritratto d'uomo (pag. 262), la Contadina del Gabbro (pag. 266), \'e8 sopra tutto da ricordare la testa del Buttero (pag. 263) dove il Fattori s'\'e8 compiaciuto a modellare volto, barba, giubba con una pennellata minuta e vibrante, rara in lui, ottenendo non solo un aggressivo rilievo ma una luminosit\'e0 per cui par di vedere la luce correre sulla figura come la sfavillante acqua d'un ruscello sui sassi e sull'erbe. \par \par Il ritratto della signora Fanny Fattori, terza moglie del pittore, un poco sfatto e, nelle vesti, confuso \'e8 del 1905 (pag. 267). Giovanni Fattori mor\'ec tre anni dopo. \par \par Chi adesso guardi gli altri quadri di lui, piccoli e grandi, vedr\'e0 che solo confrontandoli a questi ritratti potr\'e0 giudicarli, dividerli nei vari anni, e vagliarne le maniere e la schiettezza. Questo ritrattista maestro non ebbe, ch'io mi sappia, nella sua lunga vita la commissione d'un solo ritratto. Tutti questi, ripeto, li dipinse per s\'e8, per misurare ogni tanto l'arte sua e la sua forza su una figura umana, su un altro uomo: che \'e8, anche per un artista, la sola misura certa e durevole. \par \par Ugo Ojetti\~\~\~\~\~\~\~\~\~\~\~\~\~\~\~\~\~\~\~ \par \~\~\~\~\~\~\~\~\~\~\~\~\~\~\~\~\~\~ \~\~\~\~\~\~\~\~\~\~ \~ \par }